Nella storia del movimento psicoanalitico, Donald Woods Winnicott (1896-1971) ha avuto il merito di fornire una teoria dello sviluppo psichico complessa e innovativa, sempre corroborata da un’attenta osservazione clinica e da un costante interesse verso l’importanza delle dinamiche relazionali nell’andamento del processo di crescita.
La sua teoria, elaborata a partire da una serie di interessanti ricerche in ambito pediatrico, fornisce una descrizione articolata, penetrante e spesso poetica della nascita e dell’evoluzione del Sé psichico. Quasi tutti i suoi contributi teorici e clinici partono da una rielaborazione critica dei modelli di sviluppo precedentemente pensati in psicoanalisi e ruotano intorno ad una idea di sviluppo psichico inteso come una continua e conflittuale lotta del Sé verso una forma di esistenza individualizzata, che, nello stesso tempo, possa permettere un intimo contatto con gli altri. Nel 1945, Winnicott cominciò a sistematizzare una raccolta di principi teorici che andavano a segnare il distacco dalle posizioni teoriche ortodosse, in particolar modo quelle di Freud e della Klein. La principale divergenza paradigmatica riferisce che i processi che portano allo sviluppo o all’inibizione delle strutture sane di personalità sono descritti non in senso meramente intrapsichico e pulsionale ma nel contesto dell’ interazione tra il bambino e quelli che sono riconoscibili come “rifornimenti” ambientali, oggetti di cura e di sostentamento nel delicato periodo che contraddistingue la crescita infantile.
In tal senso, i più importanti contributi di Winnicott alla psicoanalisi hanno inizio con l’osservazione che la teoria e il trattamento psicoanalitico delle nevrosi partono dal discutibile presupposto che l’identità personale si costruisce attraverso un processo evolutivo che separa il Sé (inteso come rappresentazione intrapsichica di una esperienza intersoggettiva) e la struttura dell’Io. Nell’accezione avanzata da Winnicott, questo presupposto tende a trascurare due questioni di grande rilevanza clinica: 1) i pazienti che non sembrano “persone”, a causa di gravi o manifeste psicosi o perché interagiscono soltanto in apparenza con altri, e 2) quelle caratteristiche della situazione analitica che riguardano più direttamente i processi che facilitano lo sviluppo della personalità. Quasi tutti i contributi di Winnicott riguardano le condizioni che consentono al bambino di avere coscienza di Sé come di un essere separato dagli altri.
Pertanto, in merito allo sviluppo psichico, il focus teorico e clinico del pensiero di Winnicott è chiaramente improntato sul rapporto tra il bambino e madre e parte dal presupposto che “il bambino può essere ‘nutrito’ senza amore, ma la mancanza di amore come gestione impersonale non può riuscire a creare un nuovo e autonomo bambino umano” (Winnicott, 1971)
La madre fornisce una serie di esperienze di cura che, sin dalla nascita, permettono all’incipiente Sé del bambino di emergere a partire da uno stato indifferenziato di “non integrazione” psichica. La madre, di conseguenza, ha il compito di fornire un ambiente supportante, all’interno del quale il figlio è appropriatamente contenuto e sperimentato:
un bambino, che non ha avuto una persona che abbia messo insieme i suoi pezzi, parte con un handicap, nel cammino verso il suo obiettivo di integrazione del Sé (Winnicott, 1945).
Nell’interpretazione suggerita da Winnicott, il ruolo materno è attivo ancor prima della nascita del bambino e si protrae nel corso dei primi importanti anni di sviluppo.
Questa condizione è definita attraverso il concetto di “preoccupazione materna primaria”, come elemento caratterizzante una forma di relazione altamente sintonica, partecipante, assorbente sia in relazione alle fantasie del bambino sia rispetto alle dinamiche esperienziali.
La preoccupazione materna primaria si impone come caratteristica naturale, biologicamente radicata e adattativa, che si instaura già a partire dagli ultimi tre mesi di gravidanza.
Oltre alla funzione di “supporto”, la madre consente al bambino di fare esperienza del mondo, di rispondere e anticipare in modo empatico alle esigenze e ai bisogni evocati o palesati sul piano delle risposte comportamentali: la sintonizzazione consente al bambino di vivere un momento di sana illusione, fondamentale per un sano sviluppo del Sé, in cui il desiderio viene soddisfatto dalla presenza dell’oggetto, presentato nella realtà dalla madre.
Nel “momento dell’illusione”, l’allucinazione del bambino e l’oggetto presentato dalla madre sono esperiti come identici e il bambino sperimenta se stesso come sorgente di tutta la creazione, attraverso un sentimento di onnipotenza funzionale alla crescita e al consolidamento di un senso di fiducia nelle proprie possibilità: la simultaneità dell’allucinazione infantile e della presentazione materna dell’oggetto desiderato fornisce quindi la base di una esperienza ripetitiva necessaria affinché il bambino abbia il senso del contatto con la realtà esterna e di un potere su di essa (Greenberg e Mitchell, 1983).
Nella descrizione di Winnicott, il neonato esperisce una oscillazione di momenti coscienti ma non integrati, parziali ma non totalmente frammentati, in cui desideri e bisogni diversi emergono spontaneamente e, man mano, in una sorta di processo fluttuante di going on being che prepara alla costituzione del senso di vera coesione del Sé e, quindi, della soggettività.
Tutte le esperienze sane descritte da Winnicott sono possibili se la madre riesce a portare il mondo al bambino con la piena sintonia responsiva rispetto a esigenze, desideri, illusioni, all’interno di un contenitore ambientale funzione di holding, uno spazio fisico e psichico all’interno del quale il bambino è protetto senza sapere di essere protetto, in modo che proprio questa dimenticanza costituisca la base dalla quale può partire spontaneamente l’esperienza successiva.