L’attaccamento svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo della personalità ed il legame del bambino verso la madre è il risultato di uno specifico sistema di schemi comportamentali, che si sviluppa nei primi mesi di vita ed ha l’effetto di mantenere il bambino in una stretta prossimità con la figura materna (comportamento che non è limitato solo ai bambini, ma evidente anche in adolescenti ed in adulti soprattutto in situazioni di stress o angoscia).
Una caratteristica distintiva del comportamento di attaccamento è l’intensità emotiva che ne accompagna l’espressione e che dipende dalla relazione tra le persone coinvolte: se la relazione è buona, emergono gioia e senso di sicurezza; se è minacciata, si sviluppa un campo emotivo di gelosia, angoscia e rabbia. Il comportamento genitoriale, come quello di attaccamento, è in parte predeterminato ed è pronto a svilupparsi quando le condizioni ambientali lo permettono (calmare il bambino quando piange, tenerlo al caldo, protetto e nutrito).
Nell’ipotesi teorica di John Bowlby, tutti i dettagli comportamentali sono appresi direttamente o tramite l’osservazione, per cui il modello del comportamento di attaccamento dipende dal tipo di esperienze che l’individuo ha avuto nella sua famiglia di origine.
Questo schema contrasta evidentemente con due impostazioni classiche: il modello dell’istinto (la psicoanalisi), che sovraderminava la componente preprogrammata intrapsichica, e quello dell’apprendimento (il cognitivismo) che dava importanza solamente alla componente cognitiva.
Il comportamento genitoriale fa parte di una classe limitata di schemi comportamentali con radici biologiche e relativamente indipendenti tra di loro: il comportamento di attaccamento, il comportamento sessuale, il comportamento di esplorazione e quello alimentare.
Bowlby fu influenzato dagli studi di Strange Situation avanzati dalla psicologa statunitense Mary Ainsworth.
La Strange Situation è una situazione sperimentale che consiste in una seduta di venti minuti nella quale si osserva come il bambino risponde alla presenza o alla assenza del genitore
Nell’ipotesi sperimentale classica che contraddistinse la metodologia della Ainsworth venivano osservati tre gruppi di bambini.
Il primo gruppo era costituito da 8 bambini (gruppo X), che esploravano attivamente il campo sociale utilizzando la madre come base di riferimento per orientarsi ed agire nello spazio ambientale; quando la madre si assentava per un breve periodo, il suo ritorno era accolto con calore affettivo.
Il secondo gruppo comprendeva un campione di 11 bambini (gruppo Z), il cui comportamento risultava preoccupante e solo parzialmente adattativo: 3 bambini si posizionavano nel contesto sperimentale in modo passivo, esplorando poco e piangendo in assenza della madre, al cui ritorno dimostravano comportamenti oppositivi; gli altri 8 del gruppo alternavano comportamenti di marcata indipendenza in assenza della madre e di disinteresse e distacco al suo ritorno.
Il terzo gruppo era definito sulla base di un campione di 4 bambini (gruppo Y) che, in termini di risposte comportamentali, alla presenza o all’assenza della madre occupavano una posizione intermedia tra le risultanze degli altri due gruppi.
I risultati dello studio della Ainsworth hanno rilevato tre condizioni: 1) le madri degli 8 bambini del gruppo X ottengono un punteggio elevato per la sensibilità sociale; 2) le madri degli 11 bambini del gruppo Z hanno valutazione basse e quindi “non sono sensibili e comprensive”; 3) le madri dei 4 bambini del gruppo Y dimostrano un punteggio medio e cioè sono “sensibili e comprensive ma non in modo costante”.
L’osservazione del comportamento infantile in questa situazione sperimentale andava a confermare i principi dei legami di attaccamento ipotizzati da Bowlby: una madre sensibile fornisce una “base sicuro” al bambino, è costantemente sulla “stessa lunghezza d’onda” per riceverne i segnali, interpretandoli e rispondendo ad essi in modo corretto e adeguato; una madre insensibile spesso non noterà i segnali del figlio, li interpreterà male e vi risponderà in modo inappropriato (o non vi risponderà affatto).
Il fine della Strange Situation era quello di mettere in luce le differenze individuali in una situazione ambientale caratterizzata da stress di separazione.
Inizialmente furono identificati tre principali pattern di risposta, intensi in qualità di specifici modelli di attaccamento: 1) attaccamento sicuro, in cui l’individuo ha fiducia nella disponibilità, nella comprensione e nell’aiuto che il genitore darà in situazioni di emergenza; 2) attaccamento insicuro di resistenza angosciosa in cui l’individuo non ha la certezza che il genitore sia disponibile a rispondere o a dare aiuto; 3) evitamento insicuro angoscioso, in cui l’individuo si aspetta di essere rifiutato.
Di recente, la teoria dell’attaccamento ha individuato un quarto tipo di schema comportamentale, quello insicuro/ disorganizzato, che caratterizza una dimensione relazionale in cui i bambini mostrano una gamma di comportamenti confusi e altamente contraddittori.
Diversi studi longitudinali dimostrano che ogni schema di attaccamento, una volta sviluppato, tende a persistere.
Il bambino entra nel mondo geneticamente predisposto a sviluppare un sistema articolato di schemi comportamentali, per mantenere una vicinanza in parte stretta con chiunque si occupi di lui e garantirsi una condizione protettiva che servirà all’ esplorazione dell’ambiente.
Un sano attaccamento è fondamentale per il comportamento esplorativo: le escursioni esplorative diventano più estese nel tempo e nello spazio sulla base della fiducia della presenza della madre in condizioni potenzialmente pericolose.
Ricevere cure da una persona insensibile, mischiate ad episodi di aperto rifiuto, di separazioni o minacce, possono condurre il bambino a disperare nella fiducia di poter avere una relazione sicura ed affettuosa con qualcuno: il timore di subire un altro rifiuto, con tutto il tormento, l’angoscia e la rabbia a cui questo può condurre, crea un blocco che impedisce di esprimere o perfino di provare il desiderio naturale di una relazione intima fiduciosa.
La teoria dell’attaccamento è, nella sua essenza, una teoria spaziale. Come indicato da Bowlby, la rappresentazione interna del bambino può funzionare in questi termini: “quando sono vicino a chi amo mi sento bene, quando sono lontano sono ansioso, triste e solo” (Bowlby, 1979).
L’attaccamento è diretto dai principali canali percettivi (guardare, ascoltare, tenere):
la vista di chi amo mi riempie di gioia, il suono del suo avvicinarsi risveglia anticipazioni piacevoli, così come essere tenuto tra le sue braccia e sentire la sua pelle contro la mia che mi dà un senso di calore, di sicurezza e di benessere (ibidem).
La possibilità di sperimentare un buon attaccamento è la base per esperienze relazionali contraddistinte da senso di sicurezza e protezione; al contrario le forme di attaccamento insicuro definiscono una condizione esistenziale caratterizzata da un piano emozionale confuso e precario (amore intenso o idealizzato, dipendenza, paura del rifiuto, irritabilità e vigilanza).
Nel corso dell’intero ciclo della vita, la ricerca sociale dell’altro diventa molto evidente ogni volta che la persona è spaventata, affaticata o malata e si attenua quando si ricevono conforto e cure.
Il fatto di sapere che una figura d’attaccamento è disponibile e pronta a rispondere da un lato caratterizza una condizione esperienziale che fornisce un forte senso di sicurezza e di fiducia, dall’altro, incoraggia a dare valore alla relazione e a continuarla.
La funzione biologica che può essere attribuita alle dinamiche di attaccamento è quella della protezione: il bambino angosciato, farà riferimento alla figura materna ed in sua assenza ripiegherà su qualcuno che conosce bene, presentando una gerarchia di preferenze (padri, nonni, baby-sitter) che se non manifesta è indice di possibili disturbi relazionali.
L’attaccamento si presenta con caratteristiche prevalentemente “monotropiche” (cioè avviene con una singola figura, molto probabilmente con la madre) che hanno implicazioni profonde per lo sviluppo psicologico e psicopatologico lungo il ciclo della vita:
a causa di questa marcata tendenza al monotropismo siamo capaci di emozioni profonde, perché avere un attaccamento profondo ad una persona (o ad un posto o ad una cosa) vuol dire averli presi come oggetti su cui terminano le nostre risposte istintuali (Bowlby, 1988).
A complemento della sua impostazione teorica, Bowlby (1988) descrisse la funzione biologica dei legami emotivi intimi, che sono controllati da un sistema cibernetico situato nel sistema nervoso centrale, attraverso i modelli cognitivi ed affettivi del Sé e della figura di attaccamento.
La capacità di stringere legami emotivi intimi con altre persone è considerata una delle caratteristiche principali di un funzionamento efficace della personalità e della salute mentale.
Il comportamento di attaccamento si sviluppa fin dalla seconda metà del primo anno di vita e richiede la capacità cognitiva di ricordare la madre anche in sua assenza.
L’attaccamento e la dipendenza, sebbene non più evidenti allo stesso modo che nei bambini piccoli, rimangono attivi lungo tutto il ciclo di vita: la capacità di separarsi dalle figure di attaccamento e di formare nuovi attaccamenti rappresenta la sfida evolutiva dell’adolescenza e dei primi anni delle esperienze mature che vanno a caratterizzare l’età adulta (sessualità, convivenza, matrimonio) (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera 2002).
Così come la relazione madre/bambino non può essere limitata all’alimentazione, anche i legami di coppia adulti non possono essere interpretati soltanto in termini di sessualità.
In tal senso, bisogna in ogni caso distinguere tra la meta del comportamento e la funzione biologica che viene svolta da tale comportamento: ad esempio, si può soddisfare il desiderio sessuale senza essere consapevoli della sua funzione riproduttiva.
La teoresi di Bowlby specifica che ogni tipo di relazione (con il partner sessuale, con i genitori, con i figli) è sempre intriso di forte emotività e che l’intera vita emotiva di una persona è determinata dallo stato e dalla qualità delle relazioni che possono essere esperite con le figure di attaccamento.
Tutte le minacce di abbandono subite nell’infanzia rendono l’individuo fortemente angosciato di fronte ad ogni futura separazione: da una parte, si sperimenta un senso di profonda frustrazione reattivo rispetto al desiderio di quell’amore e delle cure che non sono state ricevute; dall’altra, si sviluppa un profondo e doloroso senso di sfiducia verso la qualità delle relazioni future.
I modelli operativi interni, caratteristici del comportamento sociale, sono appresi nel contesto famigliare e, in assenza di forti cambiamenti significativi, diventano stabili.
Tutte le esperienze deficitarie di attaccamento tendono ad essere difensivamente escluse dall’individuo e svolgono un ruolo importante nel determinare i principali disturbi psico-cognitivi.
La maggior parte dei bambini è compiacente nei confronti dei propri genitori, preferendo vederli in una luce favorevole e minimizzandone i difetti.
Ad esempio, la minaccia di abbandono, usata come mezzo di controllo, può avere conseguenze negative nello sviluppo del normali processi di elaborazione delle informazioni: messo di fronte a questa tragica possibilità, il bambino si conforma ai desideri dei propri genitori isolando i sentimenti di angoscia.
Bowlby sottolinea che nel corso della vita quotidiana l’individuo applica i criteri di elaborazione del flusso sensoriale per determinare quale informazione debba essere accettata e quale esclusa.
Questo processo di esclusione selettiva viene solitamente compiuto senza alcuna consapevolezza: quando esperienze emotivamente significative vengono escluse da una ulteriore elaborazione conscia, la persona sarà soggetta a pensieri, affetti e comportamenti inadatti alla situazione in corso: il desiderio d’amore e di cure viene escluso dalla consapevolezza e continuerà ad essere inaccessibile; la conseguente aggressività verrà canalizzata verso obiettivi ed oggetti non appropriati.
La contropartita clinica di queste valutazioni definisce che il compito del terapeuta è quello di aiutare il paziente a scoprire quali possono essere stati gli eventi e le esperienze traumatiche, così che i pensieri, i sentimenti ed il comportamento suscitato da tali situazioni e che si ripropongono come fonte di problemi, possano essere collegati alle situazioni che ne causarono l’insorgenza.
In tal senso, il terapeuta deve fornire una base sicura al paziente per permettergli di esplorare i diversi aspetti della propria vita, incoraggiandolo a prendere in esame il modo con cui intreccia relazioni con persone significative della sua vita attuale (compresa la relazione con il terapeuta stesso).
All’interno di questo campo relazionale, il paziente porterà tutte quelle percezioni, costruzioni ed aspettative rispetto ai comportamenti di attaccamento originati a partire dal suo modello infantile e da quello dei genitori.
Con alcune tipologie di pazienti la situazione la situazione sembra invertita e la relazione di transferale di desideri, emozioni ed aspettative si esprime in una aperta gratitudine, ammirazione e affetto verso un terapeuta idealizzato: ciò nasce in parte da speranze e aspettative irrealistiche su ciò che il terapeuta sarà capace di fornire e, in parte, da un’infanzia in cui criticare i genitori era proibito e la compiacenza veniva rafforzata, sia attraverso tecniche tese a suscitare il senso di colpa, sia tramite sanzioni come la minaccia di non amare o perfino di abbandonare il bambino.
In questi casi, il terapeuta è impegnato in un processo co-condiviso di interpretazioni delle comunicazioni emotive sottostanti e di ricostruzione dei modelli operanti.