Freud, il poeta e la fantasia

Prevert

Quello di Freud per l’arte e la letteratura fu più di un semplice interesse metapsicologico.

Sin dagli inizi del metodo psicoanalitico, le riflessioni sulla creatività e sul prodotto artistico andarono al di là di un genuino piacere dell’estetica o del valore metaforico insiti nell’arte stessa, e divennero un importante punto di partenza per meglio comprendere ed esplicare i meccanismi inconsci della psiche umana.

In seno alla psicoanalisi applicata al prodotto artistico ben presto si individuarono tre principali aree di ricerca, tutt’ora vive e foriere di attenzione: 1) riflessione sulle opere letterarie come definizione dell’indagine biografica; 2) analisi delle opere letterarie in sé; 3) studi delle fonti della creatività.

Pur appartenendo al periodo teorico precedente alla seconda topica, “Il poeta e la fantasia” (1907) è un saggio denso e molto strutturato, notevole per la ricchezza degli insight che contiene in solo nove pagine. Entrambi i suoi oggetti di ricerca, la fantasia e la creatività, hanno subito successive modifiche nell’evolversi del pensiero psicoanalitico – inclusa un’evoluzione nella stessa opera di Freud – ma le linee guida che vengono tracciate divennero il crocevia da cui partire per esplorarne il ruolo e la funzione psicodinamica nel processo inconscio individuale e relazionale[1].

Freud riconosceva ai poeti in particolare – e agli artisti in generale – una “naturale” inclinazione alla conoscenza inconscia della complessità della psiche umana: “i poeti sono alleati preziosi e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione giacché essi sanno in genere una quantità di cose tra cielo e terra che il nostro sapere accademico neppure sospetta”. (Sigmund Freud, in: Saggi sull’arte la letteratura e il linguaggio: Gradiva. Il delirio e i sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen, 1906, traduzione di Cesare L. Musatti, Bollati Boringhieri, ristampa 1997, p.460). Nell’idea freudiana, inoltre, i poeti svolgevano una funzione mediatrice di collegamento e risonanza tra la dimensione artistica dell’esperienza e gli esseri umani: “[…] amano ridurre la distanza che li separa dai comuni mortali, e ci assicurano assai spesso che in ogni uomo è nascosto un poeta e che l’ultimo poeta scomparirà con l’ultimo uomo” (Sigmund Freud, in: Saggi sull’arte la letteratura e il linguaggio: Il poeta e la fantasia, 1906, traduzione di Cesare L. Musatti, Bollati Boringhieri, ristampa 1997, p.49).

Per analogia, il loro “prodotto artistico”– la poesia – svolge la stessa funzione.

Ne “Il poeta e la fantasia– nel cui titolo il termine tedesco “dichter” viene normalmente tradotto come “poeta” anche se in realtà nel suo significato comprende tutti gli scrittori creativi – il poeta è paragonato da Freud al bambino che gioca e che attua una rinuncia pulsionale.

L’atto creativo e il piacere dell’opera creativa – che risiede nell’Io e non soltanto nell’espressione della pulsione – nell’accezione freudiana sono originariamente derivati di un meccanismo di difesa: “L’uomo felice non fantastica mai, solo l’insoddisfatto lo fa. Sono desideri insoddisfatti le forze motrici della fantasia, e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che lascia insoddisfatti” (ibidem, p.52).

Sia il bambino impegnato nel gioco che lo scrittore creativo si abbandonano al fantasticare in un processo di sovradeterminazione inconscia della capacità immaginativa: entrambi “giocano seriamente” con le loro rispettive attività ed entrambi sono in grado di distinguere i prodotti delle loro vite immaginative dalla realtà; la differenza che esiste tra loro sta nel fatto che il bambino collega “gli oggetti e le situazioni da lui immaginati alle cose visibili e tangibili del mondo reale” (ibidem, p.51). L’artista va al di là del reale attraverso un’evoluta significazione simbolica, più amplificata ed astratta, che, in quanto tale, può produrre all’esterno una maggiore risonanza.

Le fantasie dell’artista, fruibili attraverso la loro qualità “pubblica”, consentono di non provare vergogna e rimorso, trasformando l’arte in quella zona intermedia tra la realtà – soprattutto quella dei desideri inappagati – e la fantasia, regno, invece, dell’appagamento: “Quando […] il poeta ci rappresenta i suoi drammi o ci racconta ciò che noi siamo inclini a interpretare come suoi personali sogni a occhi aperti, proviamo un vivissimo piacere che probabilmente deriva dalla confluenza di molte fonti. Come il poeta riesca a far ciò, è il suo particolarissimo segreto: la vera ars poetica consiste nella tecnica per superare la nostra ripugnanza, la quale è certo in connessione con le barriere che si elevano fra ogni singolo Io e gli altri. Possiamo supporre due mezzi di questa tecnica: il poeta addolcisce il carattere della sua fantasticheria egoistica alterandola e velandola; e ci seduce con un profitto di piacere puramente formale, e cioè estetico, che egli ci offre nella presentazione delle sue fantasie. Il piacere così ottenuto, che ci viene offerto per rendere con esso possibile sprigionare, da fonti psichiche più profonde, un piacere maggiore, può essere detto premio di allettamento o piacere preliminare. Io sono convinto che ogni piacere estetico procuratoci dal poeta ha il carattere di un tale piacere preliminare, e che il vero godimento dell’opera poetica provenga dalla liberazione di tensioni della nostra psiche” (ibidem, pp.58-59).

Nel suo versante metapsicologico, il ragionamento freudiano si dilata e scopre una vera e propria relazione dinamica fra l’artista, la sua opera e il fruitore.

L’arte in generale – e la poesia in particolare – acquista quindi una funzione “mediatrice”, in senso lato psicoterapeutica, intrapsichica e relazionale: diventa così un oggetto culturale – perché legata alla comunicazione e al consenso fra gli uomini – e non si configura più solamente come un recupero di onnipotenza narcisistica.

[1] In seguito, Freud sviluppò l’idea secondo cui le fantasie avessero due qualità: 1) le fantasie consce, ossia i fantasmi, le fantasticherie, o quelli che chiamiamo sogni ad occhi aperti (fantasie diurne, di cui il soggetto è consapevole); 2) la fantasia inconscia che si svolge invece separatamente rispetto al contenuto manifesto, ad un livello subliminale di cui il soggetto può divenire consapevole o meno (la fantasia, in tal senso, è inconscia perché rimossa, in via primaria o secondaria, e può essere considerata come la costruzione di una rappresentazione successiva ad un’esperienza reale).

 

Psicologo, Psicoterapeuta

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