In un appassionato seminario tenuto a Firenze nell’aprile del 2013, il filosofo e psicoanalista francese René Kaës ha esplorato criticamente il ruolo della psicoanalisi di fronte al malessere psichico che emerge dai nuovi disagi della civiltà ipermoderna.
Ma quali sono questi “nuovi disagi” e qual è il loro lievito?
Nella sua acuta e puntuale analisi, Kaës parte dal presupposto che siamo i testimoni spesso inconsapevoli della dolorosa trasformazione di quelle grandi matrici di simbolizzazione che sono la cultura, la creazione artistica, gli orientamenti di senso, in breve, tutte le conquiste della sublimazione che Freud ha chiamato nel 1929 “il lavoro culturale” (die Kulturarbeit).
Gli sconvolgimenti della società ipermoderna mettono fortemente in discussione l’identità dei gruppi e delle collettività, ma anche i processi di socializzazione tra individui, creando sofferenza. La violenza sociale e individuale, le condotte devianti, l’emarginazione, sono l’espressione manifesta della crisi dei contenitori metasociali e, di conseguenza, di quei progetti sufficientemente condivisibili che possono alimentare una dinamica gruppale creatrice di nuovi e adattativi processi di socializzazione.
I contenitori culturali sono ormai dei colabrodo e la loro precarietà è alimentata da un flusso di cambiamenti forse troppo rapidi per poter essere adeguatamente assimilati:le trasformazioni dei legami intergenerazionali, delle relazioni tra i sessi, così come le metamorfosi delle strutture familiari e sociali, la globalizzazione e la mescolanza delle culture, le mutazioni inedite nei rapporti di lavoro, dell’autorità e del potere, sono tutte dimensioni che mettono in crisi i processi di strutturazione degli spazi psichici e le fondamenta del sentimento di identità.
Nel mondo ipermoderno l’individuo è quindi costretto a confrontarsi con un insieme di sconvolgimenti acuti e spesso imperscrutabili, che colpiscono le certezze del nostro essere, nella misura in cui il contratto intersoggettivo e intergenerazionale è distorto o addirittura distrutto senza possibilità di sviluppare un senso stabile di “collettività”.
Di conseguenza, sostiene Kaës, “le credenze e i miti che assicurano la base narcisistica della nostra appartenenza a un insieme sociale, sono anch’essi sconvolti: lo stesso accade per i “grandi racconti” che fornivano le matrici del senso comune e condiviso di fronte agli enigmi della vita e dell’universo”.
Nella società contemporanea il legame fra gli individui e il legame degli individui con le diverse componenti della vita sociale e culturale è, a dir poco, in crisi.
Ci troviamo in un’epoca di processi senza soggetto.
Filosofi, sociologi, storici, psicoanalisti hanno descritto con linguaggi specifici questo fenomeno generale: il sapere e la volontà umana non sembrano più avere presa e controllo sui macroprocessi ai quali sono sottomessi e che essi stessi contribuiscono inconsapevolmente ad attivare. Ciò che va al di là degli individui e i processi che li governano sembrano cioè obbedire a causalità totalmente fortuite, o totalmente determinate, in tutti i casi inaccessibili a un controllo responsabile o a un fatto scelto, ragion per cui ogni costruzione comune, legata ad una volontà intenzionale, sarebbe soltanto un’illusione, un’utopia, una chimera.
In tal senso, siamo in presenza di elementi trans-soggettividell’esperienza, una fenomenologia poco tangibile che scavalca la volontà individuale e, anche, le relazioni.
Se è vero che i processi senza soggettonon dipendono dall’azione della (singola) persona, essi sono paradossalmente il risultato dell’azione di tutti; in questo senso sono anonimi, nascosti e agiti nel gruppo o nel sistema collettivo dove le singolarità si perdono.
Processo senza soggettoe individui sono in qualche modo complici nel creare configurazioni contraddittorie, non prive di conseguenze sulla strutturazione della vita psichica, in particolare sull’attività di simbolizzazione e sul pensiero che lavora per donare un senso alla complessità.
Il pensiero simbolico, purtroppo precario nel mondo contemporaneo, è invece essenziale: esso solo permette di elaborare il disagio psichico e sociale, la dispersione, l’eterogeneità e lo scarto tra l’esperienza del mondo interno e quella del mondo ambientale, la tensione tra processo senza soggetto, intersoggettività e soggettivazione.
Tutte le peculiari conflittualità del nostro contesto storico definiscono i nuovi tipi di malesseri e, di conseguenza, la necessità di una nuova idea di psicoterapia che non può prescindere dalla dimensione soggettiva, inter-soggettivae trans-soggettivadell’individuo.
E’ proprio su questa tensione “catastrofica” tra i processi senza soggetto – che mandano alla deriva i gruppi e le istituzioni – l’auto-alienazione del soggetto e i processi dell’Io in relazione che il lavoro psicoterapeutico (e la cultura di cui è portatore) potrebbe quindi aprire uno spazio di elaborazione specifico.