Prima o poi in psicoterapia arriva la coppia.
Non voglio qui riferirmi solo a quei casi manifesti/domande cliniche in cui due coniugi o due “promessi sposi” decidono di rivolgersi a un professionista della materia psicologica per una consulenza riparatoria, allo scopo di salvare (o subliminalmente rompere) la loro relazione, alla ricerca cioè di un terzo (delegato) che gli dica cosa è giusto fare e quale scelta prendere per l’esito di un legame entrato in crisi. In senso più ampio e complesso, il punto di riflessione riguarda il fatto che la “questione amorosa” di coppia emerge sempre durante il percorso analitico anche nel trattamento individuale, sia essa esistente in chiave fantasmatica, e quindi in tal senso riferita come desiderio (presente o passato, soddisfatto o frustrato) dal singolo, o più reale, cioè presente nell’attualità in cui viene narrata dal paziente.
E’ solo questione di tempo o, meglio, come direbbe Heidegger, di “temporalità” all’interno di un processo. L’insoddisfazione legata alle controversie di cuore, in diversi gradi e forme, alimenta sofferenze, inquietudini, sintomi, che impattano come catastrofi sul benessere individuale, plasmando sabbie mobili o impossibili equilibrismi: partner violenti o abbastanza tali (i cui gesti vengono spesso minimizzati dalla vittima), menefreghisti, depressi, gelosi, impotenti o frigidi, fedifraghi, noiosi o semplicemente poco attenti all’altro solcano i palcoscenici di quella grande rappresentazione teatrale chiamata amore (spesso sedicente tale). Ogni volta che un paziente introduce questo tema sentimentale chiedo laconicamente: “cosa intende con la parola amore?” L’apparente semplicità della domanda risulta sempre alquanto spiazzante e suscita un certo imbarazzo, frutto probabilmente di scarse certezze. Seguono, sovente, silenzi, eloqui poco organizzati o intellettualizzazioni di vario genere e forma. La verità è che il termine “amore” è disarmante, ed espone al rischio di parlare di cose esperite universalmente ma in modo assai diverso, attraverso contenuti concettuali, simboli, elementi semantici e vissuti troppo aspecifici per poter diventare linguaggio e terreno comune: “farfalle nello stomaco”, “tranquillità”, “passione”, “fiducia” sono teorie più o meno autoreferenti sull’amore, frutto di complessi ideo-affettivi profondi, che la mente altro di meglio non trova che “pubblicare” e comunicare all’ascoltatore di turno con parole (veicoli) spesso vuote o troppo cariche. Questa costellazione emotivo-fantasmatica, in altri termini, si configura come l’Aleph descritto da Borges, un magma, un labirinto in-definito senza indizi, senza un’Arianna che possa tessere una traccia per trovare la via d’uscita dal caos e dallo smarrimento. Quando le fantasie di coppia compaiono in terapia è più che mai difficile sapere qual è il campo da gioco e a che gioco si sta giocando. Il problema è che molte volte si rischia di voler mangiare il brodo con una forchetta. Anche per il terapeuta – che classicamente potrebbe risolve il tutto facendo atto di fede verso una teoria riduzionistica o specifica (e tante ce ne sono!) – è complicato rimanere senza memoria e senza desiderio rispetto a un tema così tanto “esistenziale”: forse, assieme alla morte, il più “esistenziale” che ci sia.