Il dipendente affettivo è invischiato in un’incontenibile angoscia di separazione, di solitudine e di distanza; presenta all’osservazione clinica forti sensi di colpa che come macigni compromettono severamente la capacità di affermazione di sé, favorendo al contrario lo sviluppo di rapporti di passiva sottomissione in cui il piacere e il desiderio individuale vengono negati. All’inizio di una relazione, nella fase dell’innamoramento, si provano emozioni e sensazioni di attaccamento quasi “magnetiche”, riferibili all’ebbrezza della vicinanza del proprio partner, ed è pertanto normale la continua ricerca dello “stare insieme”. In un certo senso, l’Erosrappresenta il bisogno e la capacità di trascendere l’Uno e costruire, insieme all’altro, una realtà nuova, co-creata, quasi “magica”. Tuttavia, quando si altera l’equilibrio tra il proprio confine e lo spazio condiviso, la “magia” può trasformarsi in una gabbia senza prospettive di fuga, piuttosto che in un’occasione di crescita e arricchimento degli aspetti più umani della personalità. Questo è esattamente ciò che accade quando si scivola nella dipendenza affettiva di tipo patologico. Su un piano fenomenologico e più superficiale, non sempre però la differenza tra il sentimento d’“amore” e la dipendenza affettiva si presenta in modo netto, perché soventi sono i casi in cui i due vissuti vanno collusivamente a confondersi. La chiave di distinzione consiste nel grado di autonomia psicologica che l’individuo riesce a mantenere pur trovandosi in un legame e nella sua capacità di cambiare e di trovare un senso di se stesso nella relazione di coppia. Del resto, diversamente da quanto comunemente si crede, l’amore nasce dall’incontro di due unità, non di due metà, e solo se ci si percepisce nella propria completezza è possibile allora donarsi senza annullarsi, senza perdersi nell’altro all’interno di un legame che, paradossalmente, dovrebbe essere in un certo senso – quello soprattutto psichico – “libero”. Chi è affetto da dipendenza affettiva non può essere né “libero” né autonomo e non riesce a vivere i sentimenti e le emozioni con la profondità necessaria. La paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine, il senso di colpa sono zavorre psichiche che generano un costante stato di tensione e di angoscia fino a che la presenza dell’altro non è più una libera scelta ma è vissuta come una questione di vita o di morte: senza l’altro non si ha la percezione di esistere, ragion per cui i desideri individuali vengono praticamente annullati.
Clinicamente, inoltre, tra le peculiarità della storia personale e familiare condivise da chi è coinvolto in un problema di “love addiction” emergono almeno quattro elementi significativi e complementari tra di loro: 1) un ambito familiare in cui nell’età evolutiva i bisogni emotivi della persona sono stati trascurati; 2) una storia familiare caratterizzata da carenze di affetto autentico che tendono ad essere compensate attraverso un’identificazione con il partner, un tentativo di salvare lui/lei che in realtà coincide con un tentativo interiore di salvare se stessi; 3) una tendenza a ri-attribuirsi nella propria vita di coppia, più o meno inconsapevolmente, un ruolo simile a quello vissuto con i genitori che si è tentato a lungo di cambiare affettivamente, in modo da poter riprovare a ottenere un cambiamento nelle risposte affettive pressoché inesistenti ricevute nella propria vita (attraverso il principio inconscio della “coazione a ripetere”);4) l’assenza nell’infanzia della possibilità di sperimentare una sensazione di sicurezza, che genera, nel contesto della co-dipendenza, un bisogno di controllare in modo ossessivo la relazione e/o il partner (che viene nascosto dietro un’apparente tendenza al senso di colpa e all’aiuto incondizionato per l’altro).
Nella dipendenza affettiva vengono poi messe in atto delle tipiche dinamiche di coppia che a fini esplicativi possono essere intese in termini di “cicli interpersonali disfunzionali”.
In generale, in terapia emerge come questi pazienti coltivino coattivamente relazioni con persone che soddisfano i loro bisogni di cura e protezione, instaurando, solitamente, “cicli interpersonali patologici”, ossia dei veri e propri circoli viziosi che vengono alimentati dal e con il partner e che perpetuano, rinforzandolo, il disturbo.
In quella che quindi si trasforma in una co-dipendenza affettiva patologica si possono osservare due cicli interpersonali disfunzionali, prototipici e complementari: 1) Il ciclo oblativo, in cui il partner (l’altro) viene idealizzato, soddisfatto oltre ogni ragionevole senso di realtà, al fine di ricevere in cambio attenzioni e/o perdono. Normalmente, tale aspettativa viene appagata (almeno inizialmente) così che l’altro si sente egli stesso narcisisticamente idealizzato, dà attenzioni e adotta il ruolo di guida. Il soggetto dipendente, conseguentemente, sviluppa un’immagine di sé positiva, forte e adeguata. Al contrario, nel caso in cui l’altro non dia l’attenzione desiderata, il soggetto entra in uno stato di allarme, minaccia e vuoto terrifico che porta alla disorganizzazione del Sé (tipica, a questo punto, è la comparsa dell’angoscia di frammentazione). Le personalità dipendenti, generalmente, tendono ad assumere gli scopi altrui per dare forma e organizzazione alla loro esperienza interna: gli altri, come detto, sono idealizzati e investiti di potere, del ruolo di guida, e tendono a imporre il loro punto di vista in un sottile gioco sado-masochistico che nel tempo assume sempre più consistenza. Tuttavia, nei momenti in cui le scelte altrui sono apparentemente incompatibili con i propri scopi personali, emerge un senso di obbligo, di costrizione, che alimenta sentimenti molto forti di rabbia (spesso erroneamente scambiata per ansia). In conseguenza a questo stato di coercizione vi è l’attuarsi di una spirale senza uscita, alimentata dalla risposta (reale o immaginata) dell’altro. A seguito della “ribellione”, il soggetto prova uno stato transitorio di alta efficacia, di soddisfazione; nondimeno, se il partner è percepito, poi, come sofferente, si innescano rapidamente sensi di colpa, forte autocritica, paura di abbandono e di punizione che spingono ad attuare strategie riparative per mantenere saldo il legame o recuperare la relazione. Al contrario (o anche conseguentemente), se l’altro reagisce in maniera distaccata o tenta di ristabilire il ruolo di potere, si attiva in modo più o meno stabile il “ciclo sadomasochista”. 2) Il ciclo sadomasochistas’innesca a seguito delle continue attenzioni che il dipendente affettivo riversa sull’altro, spesso rendendo quest’ultimo incapace di comprendere il suo vero bisogno di attenzione e protezione. In tal senso, quando la relazione si basa esclusivamente sul dominio e sul potere, può accadere che il soggetto dipendente si ribelli, scatenando nel partner una reazione di risentimento, comportamenti maltrattanti e un atteggiamento ancora più dispotico. Il motivo di tale atteggiamento consiste, generalmente, nella sensazione di non avere più lo stesso potere nella relazione, e nel sentirsi legittimato a ripristinare il controllo facendo leva sui punti deboli del love addicted (ovvero sui sentimenti di paura e di abbandono). Anticipando mentalmente la rottura della relazione e sperimentando il senso terrifico di vuoto, l’individuo dipendente mette in atto strategie di riappacificazione (attraverso comportamenti di sottomissione), dando così vita a un ennesimo circolo vizioso disfunzionale. Questo ciclo è continuamente rinforzato dall’incapacità di integrare i vari periodi della relazione e di identificare l’immagine dell’altro come maltrattante o inadeguato rispetto all’espressione sana dei propri desideri: l’immagine prevalente è fissata alla “felicità” dei momenti “storici” passati in presenza dell’altro, che idealizzano il mito fondante della coppia, ripristinando una fantasia ancor più distorta e irrealistica. In tal senso, distorcendo il parametro temporale, il soggetto dipendente non è quindi in grado di percepire i maltrattamenti subiti o le insoddisfazioni che hanno caratterizzato il legame come conseguenza della necessità di potere e controllo del partner; al contrario, questi atteggiamenti sono vissuti (e giustificati) come dovuti a una propria condotta esagerata o sbagliata o come il frutto di un amore corrisposto che tutto cura e tutto ripara.
La dipendenza affettiva patologica inizia quindi dove finisce la capacità di vivere il rapporto di coppia come un flusso costante di cambiamento produttivo, di superamento produttivo delle crisi, tra momenti di separatezza e momenti d’intimità nel reciproco rispetto dei propri desideri individuali. In questo caos emotivo, l’amore non si configura attraverso vissuti che sono fonte di arricchimento o di crescita, non è più Erosma compensazione di qualcosa che supplisce il senso di vuoto, le paure e i bisogni non soddisfatti nel corso dell’età evolutiva. Di conseguenza, il rapporto di coppia non è più un incontro tra due anime, ma una situazione di co-dipendenza, ovvero una mera limitazione reciproca delle potenzialità psichiche, del piacere, del legittimo desiderio, della capacità di sognare.