I disturbi del comportamento alimentare sono malattie complesse e molto più comuni di quanto si possa pensare.
Si tratta di patologie che hanno una causa essenzialmente psicologica, caratterizzate da comportamenti estremi nei confronti del cibo, finalizzati al controllo del peso, e che comportano gravi conseguenze somatiche (che, a loro volta, possono agire sullo stato psichico dei pazienti contribuendo a cronicizzare e ad aggravare il disturbo).
Le classificazioni dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) più utilizzate, attualmente, sono quelle proposte dal DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) e dall’ICD (International Classification of Disease) che, pur differenziandosi in alcuni aspetti, condividono tuttavia i criteri fondamentali di diagnosi (il terrore di aumentare il peso e la distorsione dell’immagine corporea).
Verso la metà del diciannovesimo secolo, i medici cominciarono a notare che venivano accompagnate nei loro ambulatori molte giovani donne sul punto di morire di fame. Erano state bambine ideali, eppure ora che avevano raggiunto la pubertà e l’adolescenza facevano impazzire madri e padri e li sottoponevano all’angoscia di assistere impotenti alla distruzione delle “loro preziose bambine”.
Negli ultimi decenni del secolo scorso i disturbi del comportamento alimentare hanno presentato un incremento di incidenza nella popolazione, probabilmente dovuta a profonde trasformazioni socio-culturali che hanno interessato le società occidentali.
I disturbi del comportamento alimentare assumono, come altri disturbi del comportamento in adolescenza, il significato di comportamenti adattativi, un tragico tentativo terapeutico nei confronti di una situazione di minaccia, di invasione di un Io che si avverte incapace di gestire lo stress e che percepisce tutto il proprio appetito verso l’esterno, ma lo vive come una minaccia alla sua identità, una minaccia di perdita dei limiti, di dissolversi nell’oggetto del bisogno.
La malattia alimentare è, spesso, un lungo viaggio nella sofferenza che conduce ad altre forme di disagio.
I principali Disturbi del Comportamento Alimentare sono l’Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa; altri disturbi sono il Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Binge Eating Disorder; (BED),caratterizzato dalla presenza di crisi bulimiche senza il ricorso a comportamenti di compenso e/o di eliminazione per il controllo del peso e i Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati (NAS), categoria utilizzata per descrivere quei pazienti che, pur avendo un disturbo alimentare clinicamente significativo, non soddisfano i criteri per una diagnosi “piena”.
Il binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata, BED) fa parte dei disturbi del comportamento alimentare, anche se la polarizzazione del pensiero sul cibo, sul peso e quindi sull’aspetto fisico, non sembra essere importante come negli altri disturbi.
Il BED, come la bulimia, è caratterizzato da abbuffate frequenti, ma al contrario di quest’ultima, non sono presenti pratiche di compensazione o eliminazione. Perciò, molte delle persone che soffrono di questo disturbo, sono obese o comunque in notevole sovrappeso.
Nella bulimia, infatti, le condotte di eliminazione rappresentano una fuga o un blocco difronte ad uno stato emotivo ritenuto intollerabile, o comunque potrebbero rappresentare una difficoltà nella gestione degli impulsi. Nel BED i comportamenti di compensazione, possono essere sostituiti da etilismo, tossicodipendenza, autolesionismo, cleptomania o ancora promiscuità sessuale.
Numerosi studi hanno indagato i fattori di rischio ma nessuno ha offerto delle risposte completamente esaurienti, anche se spesso, in letteratura, viene citata la teoria multifattorialeche comprende:
- Fattori genetici:
Gli studi che riguardano le influenze genetiche nel BED non sono tanti, ma alcuni hanno indicato che la prevalenza del disturbo è più elevata in persone che hanno almeno un parente di primo grado che soffre di questa patologia, hanno inoltre dimostrato, su uno studio condotto su 8000 gemelli norvegesi, che il BED è influenzato quasi in egual misura da fattori genetici e ambientali, con una leggera prevalenza di questi ultimi ( 41% i primi, 59% i secondi).
È stato condotto, inoltre, uno studio molecolare su un campione di 469 obesi, dei quali 24 presentavano una mutazione del recettore melanocortinico-4 ed è stato dimostrato che tutti i soggetti, portatori di tale alterazione, risultavano positivi alla diagnosi per BED (Branson, R., Potoczna, N., Kral, J. G., Lentes, K., Hoehe, M. R., and F.F. Horber, 2003).
- Fattori neuroendocrini:
Da anni si è studiata la possibile influenza dei fattori ormonali nella patogenesi delle abbuffate studiando soprattutto, l’insulina (ormone anabolico per eccellenza), l’adiponectina (i cui livelli di concentrazione sono in relazione con l’estensione della massa grassa), la leptina (ormone che diminuisce il senso di fame), la grelina (ormone che aumenta la ricerca e l’assunzione di cibo) ed i cannabinoidi (stimolano la funzionalità gastro-epatica, aumentando il senso della fame).
- Fattori evolutivi e affettivi:
Tra i diversi fattori di rischio quelli che sembrerebbero rivestire un ruolo particolarmente importante sono le esperienze difficili affrontate durante la vita infantile come la presenza di disturbi depressivi nei genitori, la tendenza all’obesità o, ancora, la ripetuta esposizione a commenti negativi riguardo la forma, il peso e le modalità di alimentazione.
- Fattori sociali:
Sono stati condotti degli studi sugli stili familiari dei pazienti BED, confrontando 43 pazienti (BED) con 88 soggetti affetti da altri disturbi dell’alimentazione. Utilizzando come strumento il Family Environmental Scale e si è visto che i BED ottenevano punteggi minori per quanto riguarda la coesione familiare, l’ emotività espressa, il divertimento attivo, l’ indipendenza personale; viceversa riportavano più alti livelli di conflittualità e controllo inter-familiare. Si è inoltre visto che i pazienti BED presentavano bassi livelli culturali(Womble L.G. et al., 2001).
Attualmente si ritiene che il BED colpisca, all’incirca, il 2-3% della popolazione adulta. Studi condotti in Italia mostrano che la prevalenza del disturbo si stima tra il 0,7% e il 4,6% mentre negli Stati Uniti è riportata un’incidenza del 5% negli obesi della popolazione generale di cui soltanto il 10-15% fa ricorso a diete per perdere peso.
Si ritiene che questo disturbo colpisca maggiormente tra la seconda e la terza decade di vita, anche se, studi più recenti, hanno mostrato che la perdita di peso esordisce in età antecedenti ai venti anni e quindi il lasso di tempo che intercorre tra esordio e diagnosi potrebbe in parte spiegare la cronicizzazione del disturbo.