Daniel Stern: il mondo interpersonale e la costruzione del Sé

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La riflessione teorica elaborata da Stern tende ad operare una sintesi tra il pensiero di matrice psicoanalitica e quello su cui si basano la teoria delle relazioni oggettuali e la teoria dell’attaccamento.

Nel descrivere il funzionamento intrapsichico, le ipotesi dell’Autore convergono con le teorie psicodinamiche che indicano costrutti di ordine superiore come principi organizzatori necessari per lo sviluppo; al contempo, tuttavia, la valenza differenziale dell’approccio proposto assume come organizzazione primaria il senso soggettivo del Sé (che si delinea in qualità di nucleo evolutivo precoce, a prescindere dallo sviluppo delle dinamiche pulsionali).

Stern affronta in modo dettagliato il problema dell’origine e dell’evoluzione del Sé a partire dal 1982, in “The early development of schemas of Self, of other, and of various experiences of ‘Self with other’”.

In questo articolo si delinea un’ampia descrizione dello sviluppo del senso del Sé nei bambini piccoli sin dai primissimi giorni di vita.

Con il concetto di senso del Sé, Stern fa riferimento ad una organizzazione psichica globale e complessa e non ad una struttura o ad una funzione esclusivamente legata alla percezione, alla sensazione, alla conoscenza o alla consapevolezza.

All’età di tre anni, il bambino diviene capace di narrare la sua storia, di descrivere cioè la sua esperienza attraverso modalità dotate di coerenza. Prima di questa tappa evolutiva, pur sapendo parlare, non è in grado di farlo.

Se si parte dal presupposto teorico che un bambino possa avere un senso di Sé solo quando è in grado di comunicare a qualcun altro i suoi pensieri, le sue riflessioni e, in generale, che cosa significa per lui essere quello che è, risulterebbe ovvio che allora quella struttura intrapsichica ed interpersonale individuabile come senso di Sé non possa esistere prima dei tre anni.

Un bambino di circa un anno e mezzo è però capace di un certo grado di simbolizzazione, di auto-riflessione, e può oggettivare se stesso in modo tale da potersi guardare, per così dire, dall’esterno; inoltre, può simbolicamente fare riferimento a se stesso attraverso l’uso di pronomi (“me”, “io”, “mio”) ed è capace di mostrarsi allo specchio e di distinguere la sua immagine riflessa.

Posto dunque che, ad un dato momento, emerga la capacità di parlare di se stessi e di fare riferimento a se stessi, sorge la domanda su quale sia l’entità precedentemente esistente su cui, quasi all’improvviso, si diviene capaci di riflettere.

Stern non condivide i presupposti da cui muovono quelle teorie dello sviluppo psicologico che individuano l’emergere di una complessa rappresentazione del soltanto nel momento in cui diventa possibile riflettervi su o parlarne.

Un tale presupposto è giustificato dalle risultanze sperimentali dell’Infant Research sui bambini di età inferiore ai tre anni, che evidenziano come questi possiedano già “competenze” e funzioni propriamente riferibili ad una organizzazione psichica che è possibile definire senso di Sé.

Utilizzando un approccio di tipo speculativo, è possibile pensare ad un modello interpersonale della mente teso a “costruire” le probabili esperienze del bambino ed a focalizzare l’attenzione verso i sensi esistenziali del Sé.

L’articolo del 1982 sopra citato persegue l’obiettivo di dimostrare che la differenziazione cognitiva tra il Sé e l’ “altro” ha luogo molto presto nel corso dello sviluppo.

Nello specifico, Stern afferma che il bambino può disporre di esperienze e schemi del Sé e dell’ “altro” che sono chiaramente separati sin dal sesto mese di vita, momento in cui alcune teorie dello sviluppo di matrice psicoanalitica considerano invece al culmine la fase “normale” di simbiosi.

Questa immagine del bambino mette chiaramente in discussione l’idea di una fase iniziale (o protratta per alcuni mesi) di indifferenziazione tra il Sé e l’ ”altro” materno e la sostituisce con quella di un bambino che, almeno su basi percettivo/discriminative, inizia a strutturare dei rapporti con nozioni separate e distinte del Sé e dell’altro.

Stern, infatti, fa riferimento a quelle osservazioni cliniche da cui emerge come sin dal sesto mese di vita sia possibile ipotizzare che non esiste alcuna confusione sistematica o generalizzata tra il Sé e gli altri stimoli del mondo esterno, né tra l’altro ed il mondo esterno in generale.

Tale considerazione definisce quindi una fase precoce di sviluppo, in cui è possibile osservare una buona capacità di percepire, discriminare e riconoscere il mondo così come esso è. In riferimento a ciò, una potenziale spiegazione sarebbe data dal fatto che le categorie e le dimensioni di molti dei principali fenomeni percettivi, che costituiscono il nostro mondo psichico e sociale, non sono apprese a partire da una “capacità zero”.

Al contrario, alcuni aspetti della percezione sono pre-strutturati, definiti, cioè, in modo che le categorie dei principali fenomeni percettivi possano formarsi rapidamente nel corso della normale esperienza di vita. Ciò determina che l’apprendimento, in seguito, si svilupperà progressivamente sulla base di queste strutture innate o emergenti.

Tuttavia, un tale tipo di pre-strutturazione è per Stern solo di tipo percettivo/discriminativo, in quanto, come chiaramente tende a sottolineare, non è concepibile, soprattutto perché di dubbia potenzialità adattativa, un meccanismo o meccanismi che si basino su categorie pre-strutturate del Sé o degli oggetti.

Queste si presentano infatti come “categorie” ed esperienze di enorme complessità, che, di conseguenza, necessitano di essere definite e ri-definite ad ogni fase dello sviluppo.

Nel 1985, in “The interpersonal world of the infant”, Stern descrive in modo chiaro e specifico quattro sensi del Sè, ognuno dei quali definisce un campo di esperienza soggettiva e di rapporto sociale:

 

Senso di un Sé emergente

(dalla nascita/2 mesi)

Senso di un Sé nucleare

(2 mesi/6 mesi)

Senso di un Sé soggettivo

(7 mesi/15 mesi)

Senso di un Sé verbale

(dal 16° mese)

 

In seguito, nel 1989, con “Developmental prerequisites for the sense of the narrated Self”, proporrà il concetto di senso di Sé narrativo (3 anni) che estende quello di senso del Sé verbale.

In riferimento a questo modello di organizzazione e sviluppo della mente, Stern afferma che:

una volta formatosi, ogni senso del Sé si mantiene pienamente funzionante e attivo per tutta la vita […] Tutti i sensi del Sé continuano a svilupparsi e a coesistere.

 Attraverso un nuovo paradigma evolutivo, i costrutti teorici ruotano intorno al termine “senso”, del Sé o dell’ “altro”, in contrapposizione ai tradizionali termini usati in psicologia dello sviluppo, quali “concetto”, “conoscenza”, o “consapevolezza”.

Psicologo, Psicoterapeuta

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