Molte nevrosi possono essere interpretate a partire dai conflitti evolutivi all’interno dei quali l’individuo risponde alle carenze di cura e di holding sviluppando quello che può essere individuato come Falso-Sé.
Il Falso-Sé ha una origine e una valenza “esperienziale”, inizia a svilupparsi nel periodo infantile e si definisce come forma patologia di soggettività in cui il senso di un Sé coeso ed autonomo, all’interno di un ambiente di cura in cui il nutrimento affettivo risulta particolarmente deficitario, emerge nella forma di una rappresentazione disturbata.
In tal senso, il Falso-Sé si struttura come conseguenza di una prolungata intrusione di fattori “disarmonici” rispetto alla sintonizzazione che dovrebbe caratterizzare un buon holding, espressi in termini relazionali attraverso una carenza di attenzioni materne o di eccessivi atteggiamenti di iperprotezione: il bambino, che nel percorso di crescita non può permettersi l’esperienza di “quiescenza informe” (perché deve essere preparato alle esigenze imposte da relazioni sociali sempre più complesse), perde il contatto con i suoi bisogni reali e, sul piano comportamentale, è portato a rispondere con azioni accomodanti e non spontanee.
Su un piano psicodinamico, questo stato di profonda frammentazione sottolinea il meccanismo di scissione tra un “vero-Sé”, che gradualmente tende ad isolarsi, distaccarsi e atrofizzarsi, e un “falso-Sé”, che scopre la sua base su atteggiamenti di innaturale compiacenza verso le richieste ed i comportamenti degli altri.
All’interno di una scarsa esperienza di sintonizzazione affettiva, il “vero-Sé” (la sorgente dei bisogni, delle immagini e dei gesti spontanei) tende quindi a nascondersi e ad evitare quasi radicalmente la possibilità di esprimersi per sfuggire al pericolo del completo annichilimento psichico; di contro, il “falso-Sé” offre l’illusione di una esistenza personale, il cui contenuto è esclusivamente modellato sulle aspettative e sulle richieste della madre, prima, e degli altri, poi.
Il “falso-Sé” protegge occultamente l’integrità del “vero-Sé” per mezzo di una sorta di accomodamento passivo alle richieste non sintoniche dell’ambiente ed ha come risultato una eccessiva attività della mente (razionalizzazione dell’esperienza del deficit affettivo) e una separazione dei processi cognitivi da qualsiasi base affettiva o somatica.
In tal senso, in mancanza di un holding sufficientemente buono, lo sviluppo affettivo è come se si arrestasse nel tempo psicologico, mentre il resto della personalità cresce al di là e intorno al nucleo mancante: il nucleo dell’individualità autentica rimane sospeso, mantenuto e bloccato dall’adesione a risposte emotive e azioni accondiscendenti.
Il deficit evolutivo ha quindi un impatto debilitante sullo sviluppo emotivo del bambino.
I fallimenti delle cure materne sono di due tipi: 1) l’ incapacità di attuare in modo armonico ed equilibrato i bisogni e le creazioni allucinatorie del bambino quando questo si trova in condizioni propositive o di eccitamento; 2) l’interferenza con la sua mancanza di forma e di integrazione quando invece il bambino è in condizioni di quiescenza.
Entrambi i tipi di deficit sviluppano una forma patologica di “annichilimento emotivo” e vengono sperimentati come una terrificante interferenza nel principio essenziale e nella necessità di “continuare ad esistere” (Winnicott, 1956).
Se l’esistenza del bambino trova le sue radici sia negli stati interni sia nei suoi gesti creativi, la madre, idealmente, è il “mezzo dell’onnipotenza” e lo strumento per una normale assenza di forma. In mancanza di una buona sintonizzazione, il bambino avverte il conflitto in termini di “pressioni” che possono assumere forme diverse: 1) se il bambino avverte un desiderio spontaneo e il desiderio non viene appagato si sente ignorato o frainteso; 2) se il bambino scivola nel goig to goinge non è sostenuto si sente costretto a affrontare in modo innaturale le richieste del mondo esterno.
Anziché fornire uno spazio psichico protetto all’interno del quale il Sè possa espandersi e consolidarsi creativamente, la madre “non sufficientemente buona” presenta al bambino un mondo con il quale è necessario conformarsi immediatamente e al quale ci si deve adattare per poter essere riconosciuti: in tal senso, la preoccupazione prematura per il mondo esterno ostacola e impedisce lo sviluppo e il consolidarsi della soggettività autonoma. Inoltre, nell’ipotesi teorica e clinica di Winnicott, la carenza materna cronica produce una scissione radicale all’interno del Sé, tra le fonti autentiche del desiderio e del significato (ilvero Sè) e la necessità di compiacere gli altri (il falso Sè). Quando il bambino si trova di fronte all’impossibilità che il proprio Sé possa essere riconosciuto dall’ambiente esterno non ha altra scelta che operare una scissione tra la componente cognitiva della mente e le fonti del corpo che caratterizzano le esperienze emotive più spontanee.