Ansia, disturbo di panico e agorafobia

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La paura è un’emozione provata in tutto il regno animale, e la sua funzione si esplica nel favorire la sopravvivenza del soggetto ad una situazione pericolosa; irrompe ogni qualvolta si presenti un possibile cimento per la propria incolumità. La paura è funzionale nel momento in cui prepara l’organismo ad affrontare un pericolo, preparandolo alla fuga o all’attacco. Essa provoca rapidi cambiamenti del sistema nervoso simpatico, ed è caratterizzata dal suo innescarsi di fronte ad un pericolo immediato. Nei disturbi d’ansia la persona sembra provare paura senza che nell’ambiente sia presente un vero pericolo. L’ansia ha un valore adattivo in quanto ci aiuta ad individuare future minacce, preparandoci ad affrontare o ad evitarle. Tra i disturbi d’ansia abbiamo quello di panico, che è caratterizzato da attacchi non legati a situazioni specifiche e dalla paura di soffrire di altri attacchi. Secondo il DSM IV questo tipo di disturbo è caratterizzato da attacchi di panico ricorrenti ed inaspettati, seguiti per almeno un mese da 1) preoccupazione persistente di avere un altro attacco, 2) preoccupazioni sulle possibili implicazione conseguenze degli attacchi di panico 3) significativo cambiamento del comportamento correlato agli attacchi ( ad esempio evitare le situazioni in relazione con gli attacchi. L’esordio tipicamente rientra nelle fasce d’età comprese tra 15-19 anni, e i 25-30 anni,ed è un disturbo molto comune, diagnosticato con frequenza doppia nelle donne. Studi fatti all’interno di diverse culture hanno confermato che la prevalenza, il decorso, la distribuzione nei due sessi, l’età di esordio sembrano essere simili in tutto il mondo. Tra i sintomi riscontrati durante l’attacco di panico abbiamo : paura di perdere il controllo ( che indica la paura d’impazzire o di fare qualcosa d’imbarazzante durante un attacco di panico), palpitazioni (sgradevoli ed anomali battiti cardiaci), sensazione di asfissia intesa come stretta/costrizione alla gola, dolore al petto (spesso nella parte sinistra), parestesie ( sensazioni di formicolii, torpore, intorpidimento), depersonalizzazione ( alterazione della percezione di sé caratterizzata da un sentimento di distacco ed estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo), derealizzazione che implica una visione della realtà esterna come estranea ed irreale.

Il DSM opera una distinzione su tre tipologie di attacchi di panico che si differenziano per la presenza/assenza di segnali per l’attacco. Gli attacchi di panico inaspettati spesso si manifestano nel sonno, durante il quale la persona si sveglia in preda al panico. Solitamente questi attacchi si manifestano nella fase N-REM e non sono provocati da sogni. L’attacco di panico può anche essere collegato ad una situazione specifica ( ad esempio si può avere un attacco quando ci si trova in un ascensore affollato), spesso il disturbo di panico è associato ad una fobia specifica o con fobia sociale. Infine vi sono gli attacchi di panico indotti da una situazione: vi sono situazioni in cui l’avere un attacco di panico è più probabile, ma non è costante e la sua probabilità è influenzata da diversi fattori ( es. folla, caldo, umidità..).

Il disturbo di panico presenta un’elevata comorbidità con altri disturbi. Le comorbidità più frequenti comprendono la fobia sociale, disturbo ossessivo- compulsivo, fobia specifica e disturbo d’ansia generalizzato. Vi è elevata comorbidità anche con il disturbo depressivo maggiore; nei due terzi dei casi la depressione si sviluppa in concomitanza con, o dopo l’esordio del disturbo di panico. Un’elevata comorbidità viene riscontrata anche con l’ipocondria, caratterizzata dalla paura o dalla convinzione di avere una grave malattia, basata sull’erronea interpretazione di uno o più sintomi fisici. Sia l’ipocondria che il disturbo di panico, infatti, si basano su una tendenza generale ad interpretare in maniera errata e catastrofica le sensazioni corporee. Il disturbo di panico può essere secondario all’uso di alcol e droghe, o essere una delle cause alla base dell’utilizzo di tali sostanze, in quanto comportano un momentaneo sollievo dagli stati ansiosi.

Le sensazioni associate all’arousal sono percepite da molti in maniera negativa; con questa etichetta si intendono le sensazioni associate all’attivazione del sistema nervoso autonomo, incluse palpitazioni, parastesie, dispnea, debolezza e sudorazione. Queste sensazioni posso verificarsi durante stati ansiosi, e i soggetti “ altamente sensibili all’ansia” provano paura in relazione alle sensazioni associate all’arousal, paure che derivano dalle credenze che i soggetti hanno relativamente alle conseguenze dell’arousal stesso. Le credenze hanno, spesso, una natura catastrofica, legata alla paura di morire, d’impazzire e di essere escluso socialmente. Questa premessa ci aiuta a capire il ruolo che la sensibilità all’ansia ricopre nel cosiddetto “ circolo vizioso del panico”. Clark attraverso il suo modello cognitivo del panico ci spiega i processi attraverso i quali si verifica l’attacco di panico. Secondo Clark quando si provano sensazioni fisiche ( es. palpitazioni) si può interpretarle in maniera catastrofica, ad esempio come un segale di morte o perdita di controllo. Quest’interpretazione provoca un aumento dell’ansia, incrementando così l’intensità delle sensazioni temute, e ciò comporta un ulteriore reazione di allarme da parte della persona, sempre più convinta dell’ inevitabilità della catastrofe. Tale aumento della reazione d’allarme a sua volta aumenta ulteriormente l’intensità delle sensazioni di ansia , fino ad innescare un circolo vizioso che sfocia nell’attacco di panico. È importante precisare che non tutte le interpretazioni erronee sono a livello cosciente; alcune possono verificarsi così rapidamente ed automaticamente da essere ben lontani dalla consapevolezza; inoltre le persone possono fare interpretazioni sbagliate anche quando riconoscono correttamente che le sensazioni sono legate all’arousal, in questo caso sovrastimando la pericolosità di questo.

Le terapie comportamentali o cognitive-comportamentali sono tra i trattamenti eletti per i disturbi di panico .Questo tipo di trattamento comprende interventi psico-educativi, esercizi di respirazione, ristrutturazione cognitiva, esercizi di rilassamento, esposizione enterocettiva e situazionale  Gli obiettivi principali dell’assessment in questo tipo d’approccio sono: 1) definire un’accurata diagnosi , 2) ottenere le informazioni necessarie a sviluppare la formulazione del caso, inclusa una valutazione delle variabili predittive dell’esito terapeutico 3) valutare il percorso terapeutico e gli esiti. Il disturbo deve essere inquadrato indagando diverse aree, al fine di comprendere i disturbi presentati dal paziente, mettendo quindi il clinico in grado di sviluppare un intervento terapeutico più appropriato. Le aree da esaminare per ottenere una valutazione completa del paziente che si presenta per il trattamento del disturbo di attacchi di panico consistono in: valutazione medica in cui devono essere escluse condizioni mediche con sintomatologia simile al disturbo di attacchi di panico, o le eventuali condizioni mediche che potrebbero esacerbare il disturbo da attacchi di panico. La diagnosi deve avvenire in Asse I e II del DSM e deve essere valutato anche il funzionamento globale; valutare le caratteristiche dei sintomi ( come la frequenza, intensità, caratteristiche temporali). Deve essere inclusa la valutazione dell’ambiente e dello stile di vita del paziente, focalizzandosi sul funzionamento familiare, lavorativo/ scolastico, rete sociale, eventi di vita negativi…; inoltre anche le strategie di coping del paziente, anamnesi del disturbo ( esordio, eventuali psicopatologie precedenti, familiarità psichiatrica), valutare gli aspetti cognitivi in relazione al panico come la presenza di beliefs disfunzionali spesso riguardanti convinzioni relative all’attivazione fisiologica, presenza di immagini catastrofiche ed attenzione rivolta al corpo. Deve essere valutata l’eventualità di dover trattare il disturbo con altri tipi di trattamento, incluso quello farmacologico. Risulta importante anche la valutazione della motivazione del paziente al trattamento psicologico.

Tra le complicazioni più comuni del disturbo di panico si riscontra quello dell’agorafobia che consiste nel timore di situazioni sociali nelle quali, in caso di attacco di panico, sarebbe difficile fuggire o ricevere aiuto. Spesso le limitazioni imposte dall’evitamento interferiscono con le attività quotidiane, che il paziente non è più capace di svolgere o, se lo fa, deve essere presente un accompagnatore. Gli orientamenti psicoanalitici più recenti si sono sempre più orientati a considerare l’agorafobia come una patologia dell’identità e del limite, particolarmente presente all’interno dell’universo femminile, proprio a causa delle maggiori difficoltà che la donna incontra nel processo di differenziazione rispetto alla propria madre. Queste concettualizzazioni risultano essere molto interessanti in quanto focalizzano l’attenzione sulla fragilità dell’identità dell’individuo per spiegare la sindrome agorafobica, così come l’attacco di panico e l’angoscia di separazione. Mentre in una prima fase, sotto l’influenza del pensiero freudiano, l’origine delle fobie era collocata a livello edipico del processo di sviluppo, si è successivamente passati a considerare fasi sempre più precoci rispetto a quella del complesso edipico; così i contributi più recenti allo studio dell’agorafobia si sono sempre più focalizzati sulle frasi pre-edipiche mettendo in rilievo i temi di “fragilità dell’identità” e del compagno fobico. A questo proposito è molto interessante considerare il contributo di Barbara Milrod nel considerare l’aspetto del “Vuoto” che caratterizza la persona con agorafobia: essa infatti avrebbe una assenza a livello del suo spazio interno e di strutture di simbolizzazione adeguate. Questo vuoto rende il proprio Sé incompleto, e questa incompletezza richiama e necessita della presenza di un Altro ( solitamente il compagno fobico) che rappresenta una sicurezza per il proprio Sé, delineandone i confini. L’altro esiste in funzione di sostegno del proprio Sé e tende quindi ad essere svuotato della sua sfera individuale; rappresenterebbe, al contrario, un prolungamento del proprio spazio vitale. L’agorafobia, contiene in sé una doppia valenza: da una parte implica paura degli spazi aperti, della piazzo, dall’altro include tutto ciò che ha che fare con il sentirsi soli, privi di oggetto, di contenitore, di confini. Si realizza anche nell’allontanamento da persone e luoghi che sono un fondamentale riferimento per l’integrità dell’identità di quel soggetto. Infatti, il senso d’identità può essere altamente vincolato a certi luoghi, così che il soggetto può trovarsi in una situazione di confusione e disorientamento quando è lontano da questi. Risulta, quindi, essere fondamentale nel vissuto agorafobico il vissuto di solitudine, l’isolamento, la separazione e la perdita dei confini. Questo disagio psichico è espresso da forti crisi d’angoscia acuta che assumono la forma degli attacchi di panico e dell’agorafobia. Avendo sottolineato l’importanza del tema identitario nella genesi dell’agorafobia, si può cercare di approfondire la relazione tra genere e questo tipo di disturbo. La prevalenza di questo disturbo è soprattutto femminile, e questo sembra essere collegato alle maggiori difficoltà incontrate dalle donne nel portare a termine il processo di separazione- individuazione dalla propria madre. Il compito che ciascun individuo deve affrontare durante il proprio sviluppo è separarsi, individuarsi e differenziarsi dall’originale situazione di fusione e indifferenziazione con la propria madre. L’identità femminile segue un percorso di sviluppo che si differenzia da quello maschile; per un maschio la sola consapevolezza della sua differenza anatomica rappresenta una spinta fisiologica verso la differenziazione psicologica rispetto alla relazione primaria con la propria madre. Per la femmina questo processo è più complesso in quanto, accanto ad una spinta alla differenziazione vi è uno sviluppo anatomiche che progressivamente la rende uguale alla propria madre: la crescita porta ad un processo di separazione ed individuazione, mentre l’acquisizione dell’identità di genere femminile imlica il diventare uguale alla propria madre a livello corporeo. È importante puntualizzare la non neutralità del ruolo paterno all’interno di questo processo. La bambina durante il periodo edipico si rivolge al padre in modo tale da slegarsi dal legame simbiotico con la propria madre. Si può ipotizzare che nelle situazioni in cui si presenta un vissuto agorafobico vi sia l’assenza del padre, nel processo di separazione dalla madre, in relazione alla sua funzione di terzo che dovrebbe introdursi nella coppia madre-bambina. Un ruolo fondamentale nell’eziopatogenesi dell’agorafobia è, quindi, l’impossibilità di sperimentare il sentimento di separatezza, e quindi di differenziare il Sé dal non.Sè. Questa inadeguata differenziazione porterebbe ad un’incapacità di tollerare le separazioni, che vengono vissute in modo angoscioso; infatti la separatezza ( considerata come una conquista evolutiva che permette il formarsi di un’identità personale) provoca un forte stato di angoscia, e provoca un sentimento di minaccia per l’integrità stessa del proprio Io. In questo senso, la presenza del “ compagno fobico” che deve accompagnare e stare vicino al soggetto, è quella di un “magico protettore”, funzionante per la riduzione della stato d’angoscia. La sua presenza ha la funzione di evitare la separazione (angosciosa) e la percezione di separatezza, fungendo da garante esterno dell’integrità dell’identità. L’analisi ha come obiettivo quello di costruire una sicurezza dei confini, la progressiva costruzione di uno spazio psichico interno, affrontare i problemi che sottostanno alla sintomatologia claustro- agorafobica, legati al processo di raggiungimento della differenziazione e dell’autonomia, favorendo quindi lo sviluppo della capacità di simbolizzazione.

Psicologo, Psicoterapeuta

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