Identità e social network

 

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La tendenza interpretativa del fenomeno della net addiction è quella di circoscriverlo al mondo pre-adolescenziale o adolescenziale, ma la verità è un’altra: adulti che si definiscono perfettamente integrati impongono ai propri figli il coprifuoco su tablet e pc, e poi con l’appendice fisica del loro smartphone replicano invece la modalità “sempre connessi” propria dei teenager. Il secondo piano narrativo, che vede invece protagonista Stan, esemplifica il risultato della trasfusione dal reale al virtuale: il legame con i social network diventa patologicamente indispensabile e scavalca la volontà del singolo finendo per controllarne le abitudini quotidiane. A casa, in ufficio, in auto, le chat sono sempre attive e alimentano una sorta di distrazione continua dalla realtà, propria di un esercito di persone inconsapevoli di vivere il paradosso della condizione di essere “soli insieme”. Una dipendenza, dunque, da quella condizione verosimile di sé narrata nell’universo del web e che spesso non corrisponde affatto alla verità di esistenze assai meno “splendenti” delle foto caricate sul profilo o meno sapienti dei post scritti magari copiando un aforisma sui numerosi siti internet a ciò dedicati. In tutto ciò, qual è poi la relazione che intercorre tra identità reale e identità virtuale? Nei suoi aspetti sensoriali, l’esistenza corporale, propiocettiva, locomotoria, funzionale, rappresenta la base della soggettività. L’identità si stabilisce a partire della percezione della propria esistenza, che, da un punto di vista genetico, proviene da una serie indefinita di esistenze individuali che la precedono e che le diedero origine e contiene in se la possibilità di dare inizio a successive esperienze. L’altro polo costitutivo dell’identità è la relazione con un rappresentante della generazione precedente, simile ma non uguale, modello potenziale di ciò che il bambino può essere, che assolve le funzioni di sostegno, protezione rispetto ai pericoli, alimentazione e, in qualità di aspetto fondamentale e specifico, di contatto emotivo.  L’importanza di questo vincolo relazionale è stato nel tempo studiato in tutti i suoi aspetti e attraverso diversi angoli di lettura.La psicologia e la psicoanalisi hanno focalizzato l’attenzione sul rapporto tra il bambino e i suoi principali caregivers, le figure di accudimento. La vita emozionale della madre si esprime attraverso canali corporali: quando un bambino è tenuto in braccio percepisce la temperatura, la consistenza muscolare, la superficie della pelle, i battiti del cuore, i movimenti respiratori della madre. Quando è allattato, il latte del seno materno fluisce con una velocità che in parte dipende dalla forza della suzione e in parte da un ritmo unico, speciale e specifico. Tutto questo non solo costituisce il germe iniziale della propria identità, quanto anche la base su cui si sviluppa lo schema corporale, la conoscenza del mondo esterno (che include la conoscenza di tempo e spazio), il riconoscimento dell’esistenza dell’altro, della sua mente e delle sue emozioni. E’ a partire dal corporale cioè che il mondo drammatico e fantasmatico della vita interiore iniziale acquista e sviluppa le sue primitive modalità di espressione.A loro volta, queste esperienze funzionano come una matrice identificatoria e come confine dell’Io, e configurano una complessa trama esperienziale, caratterizzata da qualità basiche e da altre variabili, storicamente costituita sempre a partire dalla relazione con un altro essere umano, che diventa il sostrato del nostro modo specifico di stare al mondo, di relazionarci agli altri, di percepire la nostra individualità. Questa dinamica ha una qualità lontana da quella che si fonda sulla relazione bidimensionale con un’immagine o con un profilo virtuale e, comunque, la relazione con la propria immagine costituisce una pietra miliare innegabile per l’apprendimento del corpo come unità mobile esistente nello spazio. Il riconoscimento dell’esistenza dell’altro non è un fatto innato, spontaneo e costante. L’altro è costruito nella prima infanzia a partire dalla svalutazione iniziale dell’essere umano “fonte primordiale di tutti i motivi morali” (Freud, Progetto di una Psicologia, 1895). La concezione dell’altro, a partire dalla relazione sintonica che intercorre tra madre e bambino,  si sviluppa attraverso una dinamica complementare a quella che porta verso la costruzione della propria identità. L’universo delle immagini virtuali costituisce un mezzo che facilita la regressione verso uno stadio di onnipotenza infantile, dove l’umanità dell’altro può essere negata con facilità, dato che nell’etere virtuale nulla esiste realmente, a tal punto che l’altro, come il soggetto, diventa sempre meno reale. Allo stesso modo, l’illusione infantile onnipotente che genera la fantasia di essere il demiurgo creatore, controllore e manipolatore di tutte le cose, incontra nell’esercizio del virtuale un sostrato elettivo per il suo sviluppo.

Psicologo, Psicoterapeuta

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