Alcune note sul processo di mentalizzazione in psicologia clinica

    Crisi dell’ortodossia psicoanalitica e nascita del concetto Le revisioni critiche al modello freudiano coincidono storicamente con la nascita di nuove teorie psicodinamiche. In tal senso, lo studio dei processi di mentalizzazione sembra rispondere alla necessità di far fronte al progressivo declino della ortodossia psicoanalitica, attraverso una teoria ed una prassi psicodinamica in cui proprio la mentalizzazione viene assunta a principio sistemico e clinico. L’impostazione teorica avanzata da Fonagy ed Allen (2006)[1] nasce dall’esigenza di rivisitare gli assunti dell’unità dottrinale della psicoanalisi e propone un lavoro di riformulazione pensato al fine di sviluppare un modello teorico e tecnico in linea con le reali domande di intervento psicoterapeutico ed adeguato rispetto al trattamento dei disturbi borderline di personalità. Nel sottolineare il rischio di una imminente “morte della psicoanalisi”, il modello psicodinamico che fa riferimento alla mentalizzazione non si limita quindi a stimolare una nuova prospettiva metapsicologica, mirata ad evolvere il comune background storico e terminologico di chiara matrice psicoanalitica, ma

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Le Crisi Psicosociali

  Lo psicoanalista americano Erik Erikson (1902-1994) ebbe il merito di elaborare una teoria psicosociale dello sviluppo che integra, in modo armonico, i presupposti del modello freudiano con i principi sociologici che fanno riferimento ai concetti di “mondo esterno” e di “realtà esterna” (De Blasi, 2009). Parallelamente a questo pregio, la teoria di Erikson sovradetermina l’importanza di un’impostazione evolutiva costruita contemporaneamente sull’analisi del livello “normale” e del livello “patologico” di sviluppo psichico. Il tipo di preadattamento del neonato umano, meglio definito dall’attitudine a superare le crisi psicosociali attraverso diverse fasi epigenetiche, richiede, oltre a un “ambiente fondamentale” (quale può essere la diade madre/bambino nella dimensione del maternage), anche una serie di ambienti “sociali” più o meno “prevedibili” (famiglia allargata, gruppo dei pari, amici ecc.) L’ambiente deve permettere e salvaguardare: “[…] una serie di sviluppi più o meno discontinui, eppure culturalmente e psicologicamente coerenti, ognuno dei quali si estenda lungo tutto il raggio dei compiti vitali in espansione” (E.Erikson cit.in R.Friedman,

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Il gruppo di formazione in psicoterapia

  “Ci sono due tipi di conoscenza: conosciamo una cosa per esperienza diretta, o sappiamo dove trovare informazioni a proposito.”  (Samuel Johnson, da J.Boswell, Vita di Samuel Johnson) “E’ importante non solo l’idea dello “sviluppo” al posto di quella di “essere dotati per istinto”, ma anche la coscienza del valore di un approccio razionale o scientifico al problema. Così pure, come corollario indispensabile all’idea dello sviluppo, il gruppo (o il singolo) accetta la validità dell’apprendimento dall’esperienza.” (Wilfred Bion, Apprendere dall’esperienza, 1962) **** Qual è la “valenza” dei fattori gruppali che caratterizzano la formazione in psicoterapia? E’ pienamente esplicativo considerare il gruppo di formazione sulla base del classico modello lewiniano (T-Group), oppure è necessario far si che su questa valida prospettiva converga un’impostazione psicodinamica “più profonda”, che, ad esempio, faccia riferimento alla tradizione specificamente bioniana? E’ lecito ritenere che la relazione empatica nei gruppi di formazione possa essere considerata una “estensione multipersonale” dell’ “alleanza terapeutica”? Il primo problema può essere investigato

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Introduzione al pensiero di Daniel Stern

A cura del dott. Vincenzo De Blasi (Psicologo Clinico, Psicoterapeuta, riceve a Roma in via Giambullari, 8, zona Colosseo/San Giovanni; per appuntamenti: tel.3494671606) Quando nel 2006 ebbi il privilegio di incontrare Daniel Stern in supervisione, il mio modo di pensare la teoria e la tecnica psicoterapeutica cambiò definitivamente. Stern, con il suo modo elegante di rileggere la storia clinica che con non poco timore reverenziale avevo sottoposto alla sua attenzione e con un atteggiamento diversamente formativo dai miei precedenti supervisori, mi portò a pensare la narrazione del paziente in modo sostanzialmente nuovo rispetto al modello psicoanalitico che fino ad allora avevo appreso in 4 anni di specializzazione. Trasformando i problemi clinici, i compiti e le crisi evolutive (come l’attaccamento, l’indipendenza e la sicurezza) in linee di sviluppo (problemi di vita piuttosto che stadi specifici) e sostituendoli con il senso di Sé, la dimensione terapeutica che avevo imparato a resocontare dall’incontro con professor Stern divenne più libera nell’analisi del locus d’origine storico e

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La psicoterapia psicoanalitica

La Psicoterapia Psicodinamica e, in particolare, la Psicoterapia Psicoanalitica è un metodo di applicazione della Psicoanalisi di Sigmund Freud, riconosciuto e praticato a livello mondiale. Oggi costituisce un riferimento teorico e tecnico per altri procedimenti psicoterapeutici, ampliando l’approccio psicoanalitico a quadri clinici e malesseri psicologici sempre più diversificati e complessi, come  conseguenza dei profondi cambiamenti sociali (per esempio modifiche della struttura familiare) che caratterizzano il contesto socio-culturale dell’età contemporanea.  Sulla base del modello di intervento proposto dalla Psicoterapia Psicoanalitica, paziente e terapeuta, nel colloquio, cercano di conoscere e comprendere le cause dei conflitti preconsci e inconsci; cercano, insieme, di capire le fantasie, le aspettative e le paure inconsce che definiscono patologicamente relazioni e legami  nei confronti del partner, della famiglia, del lavoro ma anche nei confronti di se stesso, per poter così privare le rappresentazioni inconsce della loro forza patogena.
 A medio-lungo termine, il trattamento mira così a modificare il disturbo di struttura della personalità. Lo psicoterapeuta psicoanalitico è formato

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La psicologia clinica

La psicologia clinica è una delle principali branche teorico-applicative della psicologia. In qualità di modello teorico-tecnico, essa comprende lo studio scientifico e le applicazioni della psicologia in merito alla comprensione, alla prevenzione e all’intervento su problematiche personologiche e relazionali, a livello individuale, familiare e gruppale; in tal senso, il suo campo di applicazione include la promozione del benessere psicosociale e la gestione (valutativa e di sostegno) di molte forme di psicopatologia. L’operato dello psicologo clinico si rivolge quindi alla prevenzione primaria delle condizioni di disagio personale e relazionale, alla promozione del benessere psicologico e psicosociale, all’identificazione precoce delle problematiche o patologie, al corretto inquadramento dei fattori psicologici, personologici, famigliari, relazionali, ambientali e contestuali che generano e mantengono il disturbo o la difficoltà psicologica, alla gestione clinica – tramite consulenze, colloqui e diverse tecniche di sostegno psicologico – delle principali tipologie di difficoltà personali, famigliari, gruppali e comunitarie, all’abilitazione/riabilitazione nelle problematiche emotive, relazionali, comportamentali o cognitive, al sostegno in situazioni di

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